giovedì 5 giugno 2008

BASTA SOFISMI, LASCIATECI EDUCARE di Giorgio Ragazzini

Premi e sanzioni fin dalle elementari: le fumisterie sociologiche minano l'autorevolezza dei docenti. Più crediti per la buona condotta, no all'assenteismo e ai "6 politici".

("Liberal")
Caro Ministro,
durante la campagna elettorale un gruppo di autorevoli studiosi e commentatori indirizzò ai partiti e ai candidati una lettera aperta per chiedere che la vita della scuola si fondi sui valori del merito e della responsabilità. Avendo contribuito a promuovere quella lettera con i colleghi del Gruppo di Firenze, mi sembra doveroso cercare di indicare alcuni possibili provvedimenti per passare dai princìpi ai fatti, senza nessuna pretesa di completezza o di organicità.
Negli ultimi tempi sembra farsi strada la convinzione che sia necessario ristabilire nelle scuole un clima di serietà, di impegno, di rispetto delle regole. E questo vale per tutti i protagonisti dell’ “impresa” istruzione: dirigenti, docenti, allievi. Ma è ancora diffusa l’idea, specie quando si parla di ragazzi, che la sanzione sia una sconfitta dell’educazione, quando invece essa costituisce uno dei suoi strumenti, a volte indispensabile per far interiorizzare le regole e prevenire ulteriori mancanze.
È per questo che lo Statuto degli studenti va riformato più radicalmente di quanto abbia fatto – meritoriamente – il Ministro Fioroni, soprattutto per garantire un requisito essenziale di ogni sanzione: la tempestività. Oggi, per l’eccessivo garantismo dello Statuto, questo è possibile solo violando la legge. Gli insegnanti devono essere considerati educatori con tanto di autorità e responsabilità, non come potenziali nemici da tenere a bada con vincoli e pastoie.
Dobbiamo anche fare in modo che la condotta abbia un peso nella valutazione complessiva di ogni studente. E oltre a scoraggiare i comportamenti scorretti, andrebbe finalmente dato un riconoscimento a chi si comporta bene e si impegna. Basta con l’ironica e sussiegosa svalutazione dei ragazzi educati, quelli che spesso subiscono il clima imposto da compagni scorretti che una scuola troppo “comprensiva” non intende punire. E allora, Ministro, Lei potrebbe introdurre un’innovazione fortemente simbolica: stabilire che all’interno del credito scolastico per l’esame di Stato sia riservato un punteggio premiale per il comportamento corretto: che cioè per ciascuno degli ultimi tre anni di corso 1 punto venga assegnato ai candidati che abbiano meritato un voto di condotta di almeno 9/10.
Ancora: la necessità di stabilire regole e limiti non comincia in prima media e neppure i comportamenti inaccettabili. È ormai tempo di introdurre anche nella scuola primaria un regolamento di disciplina con le relative sanzioni. Non è educativo che un bambino possa dire alla maestra che lo rimprovera: “Tanto non mi puoi fare nulla!”
Ma una scuola seria deve anche esigere una frequenza regolare. Un limite alle assenze esiste solo nella scuola secondaria di primo grado; ma è una vera e propria legalizzazione dell’assenteismo. Il decreto legislativo 59 del 2004 ha introdotto infatti il tetto di un quarto dell’orario complessivo: oltre cinquanta giorni, con possibilità di deroghe! Stabiliamo che in qualsiasi grado di istruzione non si possa stare assenti per oltre il 10% dei giorni (o delle ore) previsti dal calendario affinché l’anno sia valido. Un limite superabile in via eccezionale esclusivamente per documentati motivi di salute.
Da molte parti poi si lamenta la mancanza di un valido sistema di valutazione dei docenti. Nell’attesa, però, non c’è bisogno di sofisticate osservazioni per individuare i casi di evidente inadeguatezza o di clamorosa inadempienza, come quello del professore assenteista reso noto da Pietro Ichino. Vogliamo dare ai dirigenti gli strumenti adeguati per risolverli in tempi brevi? La maggioranza dei colleghi è seria e impegnata, ma l’iper-tutela di chi demerita gravemente lede l’immagine di tutta la categoria.
Una responsabilità particolarmente delicata è quella che compete ai docenti in questa fase dell’anno scolastico: la valutazione finale degli allievi. Nel rispetto della libertà di insegnamento, bisogna fare in modo che tali valutazioni vengano sempre formulate basandosi sugli effettivi risultati conseguiti dagli studenti e seguendo criteri di equità e di merito. Troppe volte i 4 diventano 6 in nome di pseudo-motivazioni psicologiche e sociali.
Mi permetto infine di sottoporle con franchezza la questione di chi contribuisce a elaborare le politiche scolastiche. Da alcuni commentatori è stata denunciata – a mio avviso correttamente – l’influenza negativa di un “monopensiero” pedagogico che ha egemonizzato le scelte delle commissioni ministeriali. Per quanto riguarda in particolare la didattica, negli scorsi decenni questi pedagogisti, anziché indicare ai docenti una varietà di possibili opzioni, si sono fatti banditori di dogmi pedagogici e didattici, con il risultato di demotivare la gran parte dei docenti, regolarmente trattati non come professionisti, ma come incompetenti da rieducare. È quindi fondamentale che Lei ribadisca la libertà e la responsabilità del docente nelle sue scelte di metodo, mettendo fine ai tentativi diretti e indiretti di imporre una didattica di Stato. Nella scuola devono ricominciare a circolare il buon senso e il valore dell’esperienza; il metodo migliore è quello che funziona. E di conseguenza, in luogo dell’aggiornamento calato dall’alto, che in molti ha prodotto il rifiuto di ogni aggiornamento, deve essere favorita la creazione di un ambiente professionale in cui si possano comunicare e discutere, con metodo seminariale, esperienze positive, difficoltà, proposte.
Ma le responsabilità degli studiosi (con le dovute eccezioni) non finiscono qui. Ormai da molti anni si è largamente diffusa la peste linguistica del didattichese, che ha reso illeggibile quasi ogni libro, articolo, circolare che tratti di scuola. Ecco un’altra leva del rinnovamento: un italiano chiaro ed essenziale, capace di informare e spiegare in modo semplice e diretto. Cominciamo dai curricoli, rendendoli così accessibili alle famiglie e agli stessi ragazzi.
Con un cordiale “buon lavoro”,
Giorgio Ragazzini

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