venerdì 20 giugno 2008

LA NOTTE DOPO GLI ESAMI di Franco Garelli

("La Stampa")
Un rito di passaggio deve essere una cosa seria. Invece di entrare in ansia per loro, dotiamoli per tempo di una appropriata cassetta degli attrezzi, in modo che sappiano cavarsela negli esami e nella vita.

Mercoledì mattina è tornato l'incubo della maturità. Se n'è fatto portavoce il Giornale Radio delle 8, quello che dà il ritmo a tutta la giornata. Vi erano notizie particolari, non solo perché l'Italia del pallone la sera prima aveva sconfitto la Francia. Ma anche perché iniziava l'esame di maturità, uno dei pochissimi riti di passaggio che ancora persistono nella modernità avanzata; quelli che permettono a una generazione di crescere, di misurarsi con difficoltà adeguate alla propria età, in vista delle prove impegnative che li attendono nella vita.

Da molti anni si guarda a questo rito con apprensione pubblica, e anche il notiziario radiofonico rifletteva questo cliché. Il cronista ci ha ricordato che c'era il tema di italiano, «assai temuto» dagli studenti. Inoltre, il solito studente romano, intervistato su quale tema si era preparato, ha biascicato: «Beh!, l'ambiente, la società multietnica, ciò che va di moda». «E se esce altro?», gli è stato chiesto. «Beh, vuol dire che mi consegno al fato».

Amo pensare che queste immagini segnino la fine di un'epoca, quella della lamentazione per gli esami di fine ciclo, dell'apprensione per le verifiche di rilievo dell'iter scolastico, di commentatori e di adulti (anche ministri della Repubblica) più preoccupati nella circostanza di dare una copertura affettiva ai giovani che di richiamarli alle sfide importanti della vita. Si è vicini agli studenti non tanto rassicurandoli e proteggendoli in astratto, quanto offrendo loro credenziali formative adeguate per affrontare le prove impegnative, quelle che aiutano a irrobustirsi, a saggiare le proprie capacità, a verificare la corrispondenza tra sforzi e risultati. Una parte dei giovani studia poco e male, magari riceve un debole supporto dalle strutture scolastiche; e poi chiama in causa il destino per giustificare quel che succede nella vita, per compensare una preparazione lacunosa o lasciata al caso. Il fortunato film Notte prima degli esami è bello da vedere al cinema, ma è triste trovarlo rispecchiato nella realtà. Certo, da tempo l'esame di maturità è al centro di pareri controversi, tra quanti lo depotenziano perché mettono in discussione il valore legale dei titolo di studio, altri che non ne comprendono la funzione o lo ritengono troppo nozionistico, altri ancora che lo valorizzerebbero solo dentro una riforma complessiva del sistema scolastico e del rapporto scuola-mondo del lavoro. Ogni posizione ha frammenti di verità, ma il continuo esercizio del dubbio non fa che indebolire il quadro in atto e disincentivare i giovani a mettersi alla prova anche per allenarsi a superare gli esami della vita.

Da qualche tempo a questa parte si sta lottando a vari livelli per contrastare questi messaggi allarmanti o eccessivamente comprensivi nei confronti dei giovani, degli studenti in particolare. In questa linea si era mosso l'ex ministro dell’Istruzione Fioroni, che ha operato per dare più smalto all'esame di maturità, per reintrodurre i debiti formativi per quanti hanno lacune, per richiamare tutti a un maggior impegno non soltanto selettivo ma anche formativo. Su questo solco sembra agire anche il nuovo ministro Gelmini, la cui denuncia che gli insegnanti italiani sono i meno pagati d'Europa è stata letta da molti come la volontà di ricordare a tutti (anche al ministero del Tesoro) che l'investimento nella formazione dei giovani - sia pure in tempi difficili per le casse dello Stato - è una priorità per un Paese che intende recuperare in efficienza e innovazione. Varie forze sociali (ad esempio Chiesa e Confindustria) individuano nell'emergenza educativa una delle sfide più importanti del tempo presente.

Si risponde a questa emergenza anche guardando alle verifiche che gli studenti devono sostenere (come gli esami di maturità) con serenità e fiducia. Superando l'idea che siano prove off limits, che producono grande disagio, che richiedono virtù e sostegni (o fortuna) del tutto particolari. Lo stress non manca, in questi casi, ma è un fattore che rientra nella posta in gioco. Dipende dalla cassetta degli attrezzi che i giovani sono riusciti ad acquisire (e che la scuola è riuscita loro a fornire), per una prova di rilievo che può rafforzare il loro presente come il loro futuro.

E a proposito delle apprensioni (e delle pretese) di alcuni genitori, recuperiamo una lettera pubblicata ieri dal "Corriere della Sera", a cui risponde Sergio Romano:

PRESSIONI DEI GENITORI

Caro Romano, anche quest'anno l'attività scolastica si è conclusa annoverando tentativi delle famiglie di modificare dall'esterno i giudizi espressi in classe dagli insegnanti con i voti. Alle deficienze intellettuali dei figli sono giunte in soccorso, talvolta con iniziative indecorose, le pressioni dei genitori sui docenti. Fra le motivazioni addotte spiccano, per citare solo quelle meno inconfessabili, il tentativo di evitare frustrazioni da un possibile insuccesso scolastico o la preoccupazione di non danneggiare le vacanze organizzate da tempo. I mezzi utilizzati per condizionare l'operato dei docenti variano dai reiterati approcci al di fuori delle sedi istituzionali alle lettere recapitate poche ore prima dell'inizio degli scrutini.

Auspico che il ministro della Pubblica istruzione sappia predisporre strumenti adeguati per limitare l'ingerenza delle famiglie sugli insegnanti. Questa pratica così diffusa a ogni fine anno scolastico mortifica qualsiasi discorso sul merito e si ritorce infine sugli studenti: non aiuta i mediocri a crescere, condanna i migliori, contribuisce in modo irreversibile ad accrescere il declino dell'istruzione nazionale.

Francesco Salerno , fra.salerno@tin.it

Risponde Romano: Temo che dietro queste pressioni dei genitori vi sia molto egoismo. Non vogliono rinunciare alle vacanze e non vogliono impiegare il loro tempo seguendo più attentamente il lavoro dei figli. Dicono di temere per i riflessi di un giudizio negativo sulla psicologia dei ragazzi, ma è la loro psicologia che mi preoccupa.

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