Parlare con equilibrio e buon senso dei compiti
estivi, nonché di quelli per casa durante l’anno, sembrerebbe facile ma a
quanto pare non lo è. Anche quest’anno si fanno avanti granitiche certezze
sulla loro inutilità, per non dire nocività. Sulla piattaforma Change.org è
stata promossa una petizione firmata da genitori, maestri, pedagogisti e
dirigenti, che con toni parecchio sopra le righe ne chiedono l’abolizione, per
evitare disagi e sofferenze agli allievi quando non “odio per la scuola e
repulsione per la cultura”. Da decenni sono usciti di scena temi educativi
fondamentali come la volontà, l’impegno, la costanza in vista di un risultato, la
cura nell’esecuzione del lavoro. Una parte dei genitori e anche non pochi colleghi e dirigenti
sono afflitti dalla sindrome dell’iperprotezione, che guarda con angoscia
e biasimo ogni esposizione dei giovani alle difficoltà, agli insuccessi, alla
fatica. Generazioni di bambini e ragazzi sono state chine sui libri, ma quelli
odierni hanno un diritto inalienabile a pomeriggi liberi e vacanze sterminate che nessuno dovrebbe interrompere
o disturbare con qualcosa che ricordi la scuola. Durante l’estate si possono fare letture, si può riflettere
scrivendo sulle proprie esperienze e, con le istruzioni degli insegnanti, si può colmare
qualche lacuna. Imporre valanghe di compiti è
ovviamente una fesseria che può fare seri danni, come l’abuso delle medicine o
l’eccesso di esercizio nello sport. Ma non per questo qualcuno ha proposto l’abolizione dei
farmaci e degli allenamenti. D’altra parte, come sensatamente pensa Laura
Montanari nel servizio su “La Repubblica”, “la maggioranza della scuola italiana continua
a sostenere l’utilità dei compiti”.
sabato 30 maggio 2015
venerdì 15 maggio 2015
CHE BRUTTO ESEMPIO DÀ UN PROF, SE BOICOTTA IL TEST [“Il Corriere Fiorentino”, 15 maggio 2015]
Sono giorni
brutti per la scuola, comunque la si metta e chiunque alla fine riesca a
vincere la partita tra sindacati dei docenti e governo. Continua a leggere.
giovedì 14 maggio 2015
LA TESTIMONIANZA DI UN GENITORE SULL'INVALSI TAROCCATO E SULL’INTIMIDAZIONE DI UN’ ALLIEVA
Marcello Dei, il sociologo
che ha dedicato alla scuola buona parte delle sue ricerche ed è noto per il
libro RAGAZZI SI COPIA. A lezione di imbroglio nelle
scuole italiane, ci ha inviato lo scambio
di lettere con un genitore a proposito dello svolgimento dei test Invalsi in
una scuola elementare, che pubblichiamo nelle parti essenziali, opportunamente
modificate per non rendere riconoscibili i protagonisti. Riprendiamo quindi il
tema, già trattato nei giorni scorsi, dell’assenza nella scuola italiana di
qualsiasi riflessione sull’etica professionale, i cui principi fondamentali non
dovrebbero mai essere sacrificati neppure alla più motivata delle battaglie, anche
perché non mancano i mezzi per farsi sentire, come ha dimostrato lo sciopero
del 5 maggio. Di particolare rilievo è il punto della responsabilità educativa,
anche attraverso i comportamenti, nei confronti degli allievi. Ma sarebbe forse
sufficiente prendere sul serio l’articolo 54 di quella Costituzione che in
tanti sbandierano di voler difendere a ogni costo. Dice: “I cittadini cui sono
affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di
adempierle con disciplina ed onore”. Continua a leggere.
mercoledì 6 maggio 2015
SUI POTERI DEI PRÈSIDI: CHIAMATA E VALUTAZIONE DEI DOCENTI
Per capire che cosa è in gioco quando si
parla di poteri dei dirigenti scolastici bisogna partire da una caratteristica
fondante dell’istruzione pubblica, e cioè la sua neutralità ideologica. Ciò
significa che non vi si può né
privilegiare né discriminare alcuna tendenza religiosa, politica, culturale. In
altre parole, è essenziale che la scuola pubblica non sia di parte. Questo si
realizza necessariamente attraverso la libertà di insegnamento, cioè di
pensiero e di metodo, di ciascun insegnante, un po’ come la funzione della
giustizia si realizza attraverso l’indipendenza del giudice, condizione
ineliminabile della sua imparzialità. Tra le principali garanzie di questa
libertà, come dell’indipendenza del giudice, ci sono adeguate modalità di
reclutamento (concorso pubblico) e la stabilità
del posto di lavoro. Stabilità che la riforma non garantisce. Com’è noto, infatti,
è prevista l’istituzione di albi territoriali formati dai nuovi assunti e dai
docenti che faranno domanda di trasferimento. Tra questi i presidi potranno
scegliere gli insegnanti a cui proporre un contratto triennale rinnovabile; e dunque
anche non rinnovabile. È vero che il
docente non verrà licenziato, verrà però rispedito negli albi territoriali,
oltretutto accompagnato dallo stigma del mancato rinnovo. Per tornare
all’analogia con i giudici, si sa che questi possono essere trasferiti solo su
loro richiesta o in seguito a provvedimenti disciplinari. È facile immaginare
quale condizionamento il timore di questa eventualità potrà esercitare sui suoi
rapporti con il dirigente in termini di libertà di espressione nell’ambito
degli organi collegiali, di disponibilità a partecipare o meno ai progetti
della scuola o a uniformarsi a impostazioni metodologiche maggioritarie, che
magari scoraggino fortemente le insufficienze gravi, le ripetenze o le sanzioni
disciplinari. Non si può invece escludere la possibilità di avvalersi, per
necessità specifiche che non si possono soddisfare con le risorse interne, di
personale a tempo indeterminato in aggiunta, e non in sostituzione, di chi
riveste la vera e propria funzione docente.
Sarebbe infine l’ora di rendere possibile l’allontanamento
in tempi brevi dalle classi degli insegnanti palesemente non all’altezza del
loro ruolo, cosa attualmente molto difficile. Eppure dovrebbe essere pacifico
il sacrosanto diritto degli allievi di avere docenti adeguati e di non subire
per anni gravi danni alla propria crescita culturale. I colleghi in seria
difficoltà, invece, non devono essere lasciati a se stessi, né colpevolizzati,
ma aiutati in modo efficace e tempestivo.
Un altro potere contestato del dirigente è
quello di valutare da solo i docenti, soprattutto in relazione agli annunciati
premi stipendiali per “i migliori”.
Anche alcuni presidi hanno proposto che in questo ruolo il dirigente debba
essere affiancato da una commissione, possibilmente integrata (organico
permettendo) da un ispettore. Purtroppo il rimedio che si annuncia è peggiore
del male: se ne occuperà un comitato formato dal dirigente, da due docenti e,
ahimè, da due genitori (nel primo ciclo; nelle superiori da un genitore e da
uno studente). Siamo perfettamente nel solco di quell’idea demagogica di
“partecipazione” che va avanti da un trentennio e che non accenna a tramontare.
Solo nella scuola ci si fa beffe della qualificazione tecnico-professionale che
dovrebbe legittimare chi riveste certi ruoli. Per il momento almeno, gli utenti
non sono stati inseriti negli organi di valutazione delle aziende sanitarie,
figuriamoci poi in quelli della magistratura (il che non significa che i pareri
di studenti e genitori non debbano figurare tra gli elementi da prendere in
considerazione, soprattutto in relazione alla correttezza professionale).
Detto questo, dare più soldi a un certo numero
di insegnanti valutati come migliori, ammesso che si possa farlo senza troppa
arbitrarietà, difficilmente migliorerà le loro prestazioni, già remunerate
dalle soddisfazioni professionali, mentre può demotivare molti bravi
insegnanti, anche perché si domanderanno perché chi lavora poco o male continui
a essere retribuito come loro. Il primo merito da riconoscere è infatti quello
della grande maggioranza dei docenti seri e impegnati. Paradossalmente, invece,
l’impostazione premiale si risolverà facilmente in ulteriore perdita di
motivazioni del corpo docente e peggiorerà il clima interno.
Quanto alla cosiddetta “carriera”, chi ha il
desiderio e l’accertata capacità di contribuire al funzionamento della scuola in
ruoli di coordinamento o di progettazione deve invece essere retribuito
adeguatamente per il lavoro in più oppure esonerato parzialmente
dall’insegnamento. Che almeno una parte di questi insegnanti siano scelti dai
dirigenti non sembra francamente illogico.
Infine, gli scatti di anzianità non possono essere residuali, come sembra attualmente previsto; non devono però essere assegnati a tutti indistintamente, ma solo a chi ha lavorato senza demerito, cioè con merito; ed è sicuramente la maggioranza. La stessa distinzione dovrebbe valere anche per l’assegnazione del punteggio nelle graduatorie, fino a oggi quasi del tutto impermeabili ad altri criteri che noi siano il passare del tempo. (GR)
Infine, gli scatti di anzianità non possono essere residuali, come sembra attualmente previsto; non devono però essere assegnati a tutti indistintamente, ma solo a chi ha lavorato senza demerito, cioè con merito; ed è sicuramente la maggioranza. La stessa distinzione dovrebbe valere anche per l’assegnazione del punteggio nelle graduatorie, fino a oggi quasi del tutto impermeabili ad altri criteri che noi siano il passare del tempo. (GR)
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